Il nostro Salvatore Buzzerio ha incontrato i Ministri ai Mob Studios di Roma, in occasione della masterclass/session con Sylvia Massy, durante la quale è stato registrato il singolo Un viaggio. È stata un’ottima occasione per parlare con loro del mercato discografico e di musica liquida.
Ciao ragazzi! Nel 2011, a Milano, avete aperto il concerto dei Foo Fighters e, in quella occasione, eravate gli unici rappresentanti italiani in un live rock così importante. Per molti appassionati del genere in Italia, inoltre, siete un esempio da seguire per l’integrità che avete mantenuto nel tempo, pur evolvendovi e sperimentando. Perché al Mob Studio di Roma? Raccontatecelo.
FEDE: Siamo qui a Roma per svolgere sostanzialmente un lavoro, quello – per così dire – di cavie per Sylvia Massy, che è una grande Producer e Sound Engineer americana e che viene in Italia per fare una Masterclass davanti ad altri professionisti italiani che cercano di capire come fanno il rock gli americani. E questa è la grande domanda che si fanno la metà dei fonici in Italia.
DIVI: E che ci facciamo anche noi musicisti peraltro.
FEDE: Spessissimo, assolutamente, anche perché noi abbiamo sempre lavorato con produttori diversi e ci siamo anche prodotti noi stessi in qualche modo. E quindi siamo qua a registrare con lei del materiale con un allegro pubblico di fonici. Cioè praticamente come in un concerto Stoner.
Parliamo un attimo di fruizione e di ascoltatori. Evoluzione o involuzione che siano, siamo passati dal supporto che si tocca con mano a qualcosa di immateriale che possiamo ascoltare ovunque. Il vostro punto di vista su questo tipo di percorso storico qual è? Dobbiamo dire purtroppo o per fortuna, siamo attori o vittime di questo cambiamento?
DIVI: Secondo me, non c’è né un purtroppo né un per fortuna. È la strada che si apre davanti a noi, alla vita in generale e, sia per chi fa musica che per chi l’ascolta – spesso chi fa musica è anche il primo ascoltatore – cambia davvero ben poco. Io personalmente non compro un disco, credo, ormai da 7 anni. Questo fa sì quasi che il comprare della musica non sia più un fenomeno, ma la musica oggi è fatta davvero per essere ascoltata e la trovi ovunque. Da un lato, anche questo è un bene. Poi, per assurdo, oggi si vendono invece i vinili e quindi c’è anche questo strano ritorno ad atteggiamenti davvero molto vintage nell’ascolto musicale. Sicuramente parliamo di un percorso in evoluzione, però ecco, per noi, fare musica è una cosa e ascoltarla è un’altra e lo si fa più ai concerti, tutti assieme. Cioè, noi si suona, loro ascoltano e i dischi sono fatti per, come dire, cristallizzare e fotografare delle canzoni. In un certo senso, nascono già sbagliati i dischi.
MIKY: È una questione anche di qualità, credo, nel senso che io sfido chiunque a mettere un CD, ok? Ascoltate poi anche la migliore qualità di Spotify, o qualsiasi altra piattaforma di streaming, e cercate le differenze col CD. La differenza è tantissima, l’ho fatto da poco e fa davvero impressione. Ovviamente non è che ciò sia di per sé positivo o negativo. È così, nel senso che è un ascolto più veloce, meno attento. C’è persino gente che fa ascoltare le canzoni dallo speaker e quindi il discorso si lega alla qualità che uno cerca e a quanto sia ognuno disposto a fare per ascoltare su un determinato supporto, vedi il vinile appunto. È l’estremo opposto, no? Se da una parte abbiamo una situazione molto veloce, dall’altra ne abbiamo una particolarmente meditativa. Sai, mettere un vinile, aprirlo, è un percorso un pochettino più lungo.
DIVI: È un rituale!
MIKY: Ecco, infatti, ti devi prendere del tempo. Mentre adesso, invece, abbiamo la possibilità anche di dire tipo “ok, cuffiette, bluetooth, robe, sono in metro ascolto la canzone”. Ma è comodo, ce lo abbiamo tutti noi Spotify.
DIVI: Poi, per chiudere, se proprio dovessi un po’ analizzare il quadro generale, è che la musica oggi davvero è fatta proprio per essere ascoltata mentre fai altro. Come dire, siamo cresciuti con dei progetti musicali molto più profondi, più attenti al racconto e che stavano magari bene dentro i dischi. Oggi invece si ascoltano canzoni, quasi come fossero degli episodi lanciati nell’etere e vanno colti proprio in quel modo. Quindi, se si vuole recuperare il disco, bisogna recuperare innanzitutto quel concetto di musica.
Come dicevamo, gruppi come il vostro rappresentano il genere Rock in Italia. Quando, qualche anno fa, pensavo al Rock e all’essere alternativi nel nostro Paese, pensavo agli Afterhours, ai Ministri, ai Verdena. Oggi il Rock italiano convive in uno scenario piuttosto affollato con tante nuove proposte e nuovi generi. Penso all’ITpop, anche alla Trap, se vogliamo. L’offerta sembra essersi moltiplicata, ci sono meno punti di riferimento, non vi sembra?
FEDE: Penso che il grande cambiamento consista nel fatto che il mondo della musica che c’è oggi in Italia incomincia a essere quello tirato su dalle nostre generazioni. Fino a qualche tempo fa, esisteva tutto il nostro mondo, nel quale erano già rappresentati tutti quei generi. Gli Ex Otago, che io ricordi, facevano già Pop tutto sommato prima che si dicesse Itpop, no? E lo facevano all’interno del nostro mondo. E poi c’era l’altro grande mondo, separato dal nostro, del mainstream. Era un po’ come se quella fosse la sala dei grandi, in cui non potevi neanche sperare di entrare. C’erano quasi due industrie. Ora, in quella sala dei grandi, c’è sempre di più anche una rappresentanza dal nostro mondo, no? Penso sia questo il motivo per cui abbiamo oggi la percezione che, nel mondo alternativo, ci siano più proposte di prima. Siamo diventati, per così dire, “tutta la musica”. Prima non calcolavamo come nuova uscita, parlando tra di noi, un singolo di Fiorella Mannoia. Adesso, il nuovo di Fiorella Mannoia o il nuovo di Gazzelle hanno lo stesso peso specifico. Non c’è più veramente quella grande barriera in mezzo, anche perché in fondo siamo un mercato piccolo. Quindi, le etichette di nicchia possono funzionare meno. Per noi, il cambiamento è stato più o meno significativo: negli anni, ci siamo ritrovati a un certo punto ad avere davvero tanta gente che ci seguiva in relazione a quello che è da sempre il nostro posizionamento. Adesso, considerando come è diventato il mercato, forse questa gente può essere poca, però, in fondo, è più o meno la stessa e, considerando che facciamo Rock in Italia, insomma, è già tanta. Ci permette di farlo seriamente. Allora l’unica cosa da mantenere, come dicevi tu, è l’integrità dal punto di vista di alcuni comportamenti, di quello che fai, della cura con cui lo fai, come diceva Miky. Sono queste le cose importanti. Poi, nel nostro caso, abbiamo fatto delle scelte anche molto integraliste su tante cose. Non ci siamo mai legati a, non abbiamo mai fatto vedere la scarpa, o simili. Che non è un male né un bene che altri lo facciano. Questo però è il nostro stile, proprio non ci viene naturale quella roba là.
DIVI: Infatti, rispetto a quella che è la cosiddetta integrità, noi sappiamo chi siamo, da dove veniamo e cosa abbiamo costruito. Questo ci porta a essere rispettosi anche della credibilità che si è proprio consolidata. Dall’altra parte, però, non siamo neanche dei bigotti che vedono la musica come un qualcosa di strutturato in compartimenti stagni, separati l’uno dall’altro. Anche perché tutti i generi nuovi nascono sicuramente da qualche esigenza, e non è che sia il mercato a far nascere tale esigenza. Sono le persone che ricercano questa cosa. Poi magari il mercato prende il bisogno, lo cavalca, lo pilota e, a mio avviso, a volte dovrebbe anche assumersi un po’ di più le responsabilità. Mi spiego: non è che smetti di gestire a un certo punto la cosa, lasciandola alla gente senza dare gli strumenti per decodificare davvero le regole di un gioco. Magari quello che non mi piace della musica di oggi è proprio questo, ma l’urgenza di far nascere nuova musica non è mai sbagliata a priori.
Ogni tanto mi capita di ascoltare delle band con un approccio più emozionale che tecnico. Quando ascolto i Ministri, lego subito i suoni all’immagine di quando eravamo un po’ più giovani e facevamo le scorribande con l’auto cantando “bevo, bevo, bevo, yo!”. Adesso, se cerco quel tipo di emozione, so che ascoltando i Ministri del 2019/2020 posso ancora trovarla, perché…
DIVI: Perché continui a bere in pratica…
(ridono, NdR)
Fondamentalmente sì
DIVI: In macchina!
Intendo dire che ritrovo ancora quel timbro, quella grinta nella vostra musica. Cosa invece pensate di chi magari riesce ad avere, tra virgolette, un fare artistico più camaleontico? Come vivete voi questo rapporto con questo sound, questa grinta che viene da lontano? Sentite il bisogno di preservarla? Per dirne una, non mi aspetterei mai dai Ministri una Drum Machine, o no?
DIVI: E invece bisognerebbe aspettarsela.
FEDE: Ma in realtà l’abbiamo anche usata in passato.
DIVI: Esatto!
FEDE: Noi abbiamo sempre provato un sacco di strade anche in tempi non sospetti. Chi è proprio super addentrato nel nostro viaggio conosce tutta una serie di episodi matti che ci sono stati. Poi però ci siamo accorti col tempo, anche un po’ crescendo, maturando, che una parte fondamentale della nostra identità consiste tutto sommato nel metterci in una stanza e suonare assieme. Poi questa cosa può essere più prodotta, meno prodotta, fatta in diretta, fatta tutta stratificata, fatta con sotto i violini, il vaffanculo e così via, però rimane più o meno quella la base. Quindi non è che la Drum Machine sia sbagliata in sé. La Drum Machine potrebbe voler dire semplicemente che in quel momento Miky è fuori a fumare una sigaretta. Ecco allora, questo diciamo che “è poco Ministri”.
DIVI: E quando è successo forse Miky era davvero fuori a fumare una sigaretta.
FEDE: Probabilmente sì. C’era un pezzo, La Petroliera, che nasceva così ed effettivamente va bene, però è un po’ un qualcosa di singolare. Tutti noi tre abbiamo delle identità musicali forti proprio nel nostro percorso individuale, però i Ministri sono la somma di queste unità, sempre.
MIKY: Mah, più che altro se viene bene, viene bene. Se non viene bene, rimane a casa
FEDE: Esatto, tra l’altro.
DIVI: Senza fare ulteriore retorica, nella musica non ci sono regole, quindi pensare che un qualcosa sia sbagliato come scelta è un errore in partenza. O meglio, non ci sono davvero errori, ci sono esperimenti, al massimo. Poi, dato che, quando fai musica, inevitabilmente quello che crei finirà nelle mani degli altri, potrà piacere di più o piacere di meno. E quello è poi un dato che ti riportano, ma personalmente uno può anche strasbattersene di quel dato. Anzi, a volte è meglio strasbattersene perché, se si comincia anche a stare troppo in balìa della visione che hanno gli altri del tuo di percorso, finisci per non intraprenderne nessuno.
FEDE: David Bowie non avrebbe fatto un cazzo praticamente. Ha cambiato, ha suonato qualsiasi cosa, no?
DIVI: Eh David Bowie…Con Let’s Dance come sarebbe andata?
Ieri parlavamo con Sylvia Massy e lei sottolineava l’importanza di far andare di pari passo la parte tecnica con la parte creativa dell’arte musicale. Cosa vi aspettate voi da quello che sta succedendo in questi giorni a Roma con lei?
FEDE: A me verrebbe da dire che Sylvia riconosce in questo rapporto tra creatività e tecnica quello che è il lavoro proprio dello studio, no? Cioè lo studio è un luogo e un tempo ben preciso dal quale devi portare a casa il massimo e, per farlo, devi stare attento ad arrivare pronto. Pronto però anche alle novità, altrimenti stai davvero facendo poco in studio. Quindi quello che intende rimarcare lei, secondo me, è proprio la necessità di darsi delle strutture, anche delle forme rigide, essere ben preparati e dopo riuscire però anche a intercettare il momento della sessione. È una parte importante che invece viene spesso trascurata. Siamo stati anche vicini a produzioni italiane dove non funziona così, dove si tiene poco in considerazione il momento nella sua creatività. Allora, ad esempio, in Italia non si registra una voce in regia con la gente davanti perché uno potrebbe battere un piede. Bisogna farlo con tutti i crismi e così via, e sapete perché? Paradossalmente per imitare gli americani che invece, come Sylvia dimostra, se ne fottono di questi crismi.
MIKY: Sì, se ne parlava anche prima in studio. Capita che lei prenda un microfono e dica “ok, il microfono è di là, lo porto di qua e ci registro un’acustica”. Non è che prendo il chitarrista, lo ficco nel booth, poi scelgo il microfono che penso sia il migliore. Ovviamente poi dipende anche da che parte deve registrare e qual è la chitarra: se è una main, se è la chitarra più importante del pezzo, magari si fa nel modo più accurato e tecnicamente impeccabile possibile. Però se è una cosa che deve dare un colore, fai tutto più veloce.
FEDE: No, assolutamente la fai veloce.
MIKY: In modo tale da non appesantire il tutto. Perché altrimenti subentra anche la pressione sul musicista.
DIVI: Anche perché noi, in quanto artisti, ci accorgiamo, soprattutto in studio, come la passione per la musica sia diventata poi nel tempo anche un vero lavoro. Quindi ci sono inevitabilmente delle regole. Però sono regole che, se uno vive troppo rigidamente, possono far perdere un po’ tutta quella passione. Mentre invece, se c’è come un margine d’azione e di elasticità – perché l’elasticità è la cosa più importante, sia da parte dell’artista, sia da parte di chi invece sta monitorando l’artista – si riesce a creare quel concetto di coesione che fa nascere sinergicamente qualcosa di nuovo anche per te che stai facendo musica. E penso che con Sylvia è andata proprio così. Non c’è stato, da parte sua, un “dobbiamo fare”, c’è stato come un “touch”. E vederlo fare da un’americana, con un’esperienza così enorme dietro di lei, ha fatto sì che ci fosse proprio un modo di lavorare estremamente armonico. La musica è fatta di armonia, quindi se non c’è armonia non funziona un cazzo.
Quello che io ho notato, avendo avuto la fortuna di partecipare, è che Sylvia sorride sempre. Non c’è mai stato, in tantissime ore che abbiamo passato insieme in studio, un momento di stress. E sapete benissimo che momenti così possono decisamente capitare in sala. E soprattutto vi ho visti molto a vostro agio, comunque molto creativi, in mezzo a una folla incredibile per una control room.
DIVI: Sì, questo sì, siam stati bravi noi.
FEDE: Sai, per come funzioniamo noi, suoniamo meglio in sala prove se entra una persona piuttosto che se siamo solo noi tre. E questo vale sempre e comunque. Perché, se c’è qualcuno, stai facendo comunque un po’ di show-off e questo va sempre bene.
DIVI: Senti che stai donando qualcosa a qualcuno e comunque non lo si sa, però alla fine, facendo il mestiere che facciamo, siamo i Babbi Natale della musica. Perché noi la regaliamo davvero alla gente. E se hai qualcuno di quelli a cui la doni davanti, ti viene meglio.
FEDE: Tramite Spotify.
MIKY: Poi per me la sala prove è il momento in cui posso fare un sacco di cazzate, quindi.
DIVI: Ecco, Spotify è la renna invece!
Terminiamo questa intervista con la domanda di rito: cosa succederà da oggi in poi per i Ministri?
DIVI: Registrare tutto il disco con Sylvia Massy.
FEDE: Esatto, in Oregon possibilmente! Questo, solo questo.
DIVI: Diciamo che è più l’ambizione. Lavoreremo per questo.
Perfetto, ringraziamo i Ministri da Roma, alla prossima.
Ciao!