Spesso, nel mio lavoro, è importante raccontare delle storie per non perdere l’attenzione dell’interlocutore e allo stesso tempo accattivarlo con un linguaggio visivo. Gli si parla per immagini cosicché possa immedesimarsi davvero in ciò che gli si propone, si rimanda a scenari semplici, a spiegazioni “pane e salame”, come direbbe il mio capo.
È per questo che oggi vorrei cominciare raccontandovi una storia, la storia di un’emozione semplice attraverso In un baule di personalità multiple, il disco di Blumosso uscito il 19 ottobre 2018.
Tempo fa, tirando la cuffia da un orecchio di un amico, ascolto pochi secondi di un motivetto incalzante. Gli dico spontaneamente che è radiofonico, funziona. Ho provato la stessa sensazione premendo ora play su Il giorno che ti ho incontrato, brano centrale del disco di Simone Perrone. Come lui stesso dichiara, si tratta di un album che riecheggia il cantautorato italiano di un certo stampo e non nego, si perdoni la supponenza, che lo stile mi ha ricordato vagamente un acerbo Gazzè.
La semplicità e la circolarità con cui viene raccontata la storia d’amore sono disarmanti e motivanti: la hall dell’albergo in cui i protagonisti si incontrano, l’innamorata che beve il caffè e ritorna assorta nei suoi pensieri, un lui scettico e poi inequivocabilmente deluso che rivive tutto quanto di bello ci sia stato in una serie di istantanee prodotte dalla sua mente.
Ci avete fatto caso? Sono tutte polaroid che il nostro cervello non ha particolari difficoltà a sviluppare. Ad esempio, voi come immaginate quell’albergo di Milano? Come immaginate il tavolo su cui l’amata poggia i suoi sogni mentre fa colazione? Per me la tappezzeria è rossa e mi rimanda a Le conseguenze dell’amore di Sorrentino, in una sorta di inspiegabile cortocircuito. La cucina è all’americana, con un’isola centrale, tutta bianca con le sedie alte.
C’è molta luce.
Questa è la mia personale interpretazione di una storia che ho fatto mia al primo ascolto.
Penso, infatti, che nell’intento dell’autore ci sia l’universalità di alcuni concetti: il passaggio dall’astratto al concreto appare immediato e l’ascoltatore non ha molte difficoltà nell’immedesimazione che, peraltro, si acuisce nei brani più tristi dell’album. Un po’ come il melanconico che torna in auge, nella parte finale del disco è facile immaginarsi dolenti, cuffiette alle orecchie, tra barattoli di Nutella vuoti e Kleenex sparpagliati, come nella più semplice commedia romantica e mainstream.
Ecco, il potere della semplicità sta proprio in questo: unire significante e significato per renderli universali. Non ci sono particolari evoluzionismi o prove di stile negli spartiti del disco, non ci sono riferimenti a concetti astratti nei testi, solo una sana e buona dose di genuinità, la fenomenologia di una storia che comincia e finisce con la ciclicità delle stagioni, l’odore nostalgico del mare che è blu ed è anche mosso.
In un baule di personalità multiple è quindi un disco per tutti, con i ritornelli da cantare, gli accordi semplici e le emozioni giuste, nei punti giusti, ai momenti giusti.
Consigli per la merenda? Pane, salame e, naturalmente,
Blumosso.