Sognante, colorato, allucinato: sono questi i primi tre aggettivi con cui si potrebbe descrivere l’album di Black Snake Moan, progetto musicale di Marco Contestabile per La Tempesta Dischi.
È un esperimento che va dal Blues alle sonorità anni Settanta, condendo il tutto con un bel po’ di psichedelia. I ritmi sono incalzanti, a tratti naïf, e ricordano virtuosismi e atmosfere orientali, specie in brani come Lotus, Coral e Kaleido, i più significativi e incisivi dell’LP.
L’artista, come dichiarato da Contestabile stesso, si mostra a un altro livello di maturità rispetto ai precedenti lavori e riesce a conquistare una fetta di ascoltatori più ampia impegnandosi in una ricerca sonora che spazia ora tra universi onirici e psichedelici.
È un album che richiede una certa dose di concentrazione e, per goderne a pieno, bisognerebbe forse prendersi un tempo meditativo completo da dedicare all’ascolto. La connotazione intimista lo rende perfetto per l’esplorazione di antri reconditi del sé, una sfida che in pochi, causa il dinamismo di una società che ci inghiottisce, hanno la possibilità di cogliere.
L’impatto sonoro, a livello emotivo, è evidente e spazia dalla rievocazione alla rielaborazione. Chiedersi, infatti, come e cosa sia il sentire, quali corde dell’animo possa toccare un componimento così complesso e a tratti lezioso, può essere la giusta chiave di lettura per apprezzare un lavoro come quello di Black Snake Moan.
Forse si può contestare il fatto che non tutti abbiano coscienza degli strumenti cognitivi necessari al tipo di rapporto col disco che Phantasmagoria richiede, il che fa pensare che la Psichedelia e il Blues assieme siano poco democratici. Questo è parzialmente vero, a patto di sottostimare il potere emozionale di una composizione e ignorare l’intelligenza emotiva dell’essere umano.
Certo è che, per apprezzare certi “virtuosismi”, è richiesto spesso un background di cultura musicale non indifferente.
Qualora ci allontanassimo, però, da quella retorica che pone mainstream e alternative in contrapposizioni spesso forzate, potremmo finalmente affermare che una ricerca strumentale e melodica qualitativamente media, come la succitata, può davvero toccare le corde di tutti e, chissà, avvicinare i “Reggaeton addicted” a sonorità più introspettive e profonde.